L’UOMO E LA SUA EVOLUZIONE: TEORIE.
Dall'assistente del centro ricerca sperimentale sulla genesi
L’evoluzione che ha portato all’esistenza dell’uomo, così come è oggi, risale alla presenza dei vertebrati sul nostro pianeta e, per giungere a tale traguardo, probabilmente, bisogna ritornare ad esaminare addirittura una specie non sempre considerata nell’approccio a tale argomento: i pesci.
La presenza dei primi esseri viventi vertebrati risale a circa 450 milioni di anni orsono. A causa delle ere che la Terra ha subito, alcuni pesci hanno scoperto habitat nuovi dove ambientarsi ed alimenti diversi di cui cibarsi.
È così che pesci minuti e spettacoralmente enormi, dapprima dotati solo di branchie, si sono evoluti grazie ad una sorta di mascella e, conseguentemente, quando si sono accostati anche ad una vita terrestre, oltre che acquatica, l’evoluzione li ha dotati di polmoni.
Si creano, così, specie con caratteristiche scheletriche intermedie tra anfibi e rettili.
Successivamente, per consentire, lontano da fonti acquatiche, oltre l’importante funzione della respirazione, anche la necessaria riproduzione, le uova vengono dotate di un contenuto di liquido amniotico per ricreare, per l’ambrione, un ambiente simile a quello acquatico. In questo modo, si dà il via alla grande espansione dei rettili.
Questo breve excursus è fondamentale per capire l’affascinante marcia dell’evoluzione che potrebbe – e si specifica potrebbe – svelare misteri ancora irrisolti come, ad esempio, il comunissimo singhiozzo.
Poiché l’uomo si è evoluto fino a diventare un essere unicamente terrestre, forse, da quei tempi primordiali, gli sarebbe rimasta la caratteristica e noiosa contrazione dei muscoli respiratori che accompagnano l’aprirsi e lo schiudersi dei due organi di cui ancora sono attrezzati gli anfibi.
Probabilmente, il meccanismo cerebrale che ha governato l’attività delle branchie ha seguito diversi mammiferi e, fra di essi, l’uomo, nel corso della loro trasformazione durante i millenni.
Ecco perché gli uomini si portano dietro quell’antipatico singulto conseguente a quel sobbalzare di spalle e torace dovuto, dal punto di vista meccanico, all’improvvisa e ripetitiva contrazione dei muscoli necessari per la respirazione, soprattutto con riguardo al diaframma, dove, a quel punto, la glottide si ritrae producendo quel suono inconfondibile capace di sorprendere regolarmene nei momenti meno opportuni e così ostinato a spegnersi che chiamiamo comunemente singhiozzo.
Proprio perché è un sintomo innocuo, ma inutile non è degno di particolare interesse consuetamente, ma appare curioso pensare come, dopo centinaia di milioni di anni che gli animali hanno cominciato a fuoriuscire dall’acqua, sia giunto fino agli uomini.
Dal momento che è stato dimostrato che anche i bambini, durante la gravidanza, soffrono di attacchi di singhiozzo per esercitare i muscoli della respirazione o per impedire al liquido amniotico di penetrare nei polmoni, forse quest’ultimo potrebbe spiegarsi anche come meccanismo che facilita i piccoli mammiferi a succhiare il latte della mamma mentre la chiusura della glottide evita al latte di penetrare nei polmoni.
Queste tesi potrebbero essere provate solo se si approfondissero gli studi delle aree del cervello che sovrintendono il controllo del singhiozzo, poiché magari molte delle cellule nervose attive durante la suzione potrebbero collegarsi al comportamento che si sarebbe tenuto milioni di anni fa e se l’uomo avesse avuto le branchie, come eredità risalente agli albori dell’evoluzione.
In ogni caso, lo studio di questo sintomo “non patologico” potrebbe essere l’inizio di quello ben più complesso che consentirebbe di svelare misteri molto più gravi, aiutando l’uomo nella lotta contro malattie che, oggi, rappresentano la sua condanna.
Tutto questo semprechè l’uomo sia realmente “un pesce fuor d’acqua”!